Non è sempre facile tracciare un confine netto tra una relazione sana ed una malsana, soprattutto quando quella relazione la osserviamo dall’interno perché ne siamo proprio noi i protagonisti.
La vita di coppia è fatta di fasi e dinamiche assai complesse e talvolta, come all'inizio di un rapporto, può essere naturale attraversare dei momenti di sana fusionalità. A poco a poco, entrambi i membri della coppia si riapproprieranno di tempi e spazi solo per sé, della propria individualità e della propria indipendenza, senza perdere di vista nè i bisogni dell’altro nè i propri. Ma se una coppia rimane ancorata a questa prima fase? Rimanere nella fase di idealizzazione dell’altro può essere da una parte molto eccitante ma anche assai improbabile…inevitabilmente arriverà il momento in cui l’altro si manifesterà nella propria individualità, ci renderemo conto che è una persona distinta da noi e dalle nostre fantasie, con la quale poter condividere solo una parte della nostra quotidianità e della nostra esperienza emotiva. Un indicatore della relazione è in genere la valutazione di quanto la nostra vita giri intorno a quella del partner, ovvero quanto i nostri pensieri e le nostre azioni abbiano come solo obiettivo ottenere la vicinanza dell’altro e quanto terrore proviamo all’idea di perderlo. C'è dipendenza ogni qual volta, pur soffrendo, pur rendendoci conto che l’altro non risponde ai nostri bisogni perché non sa, non vuole o non intende, rimaniamo comunque convinti di avere davanti “l’amore della nostra vita”, attribuendogli il potere salvifico di “guarirci”. C'è dipendenza quando dichiariamo di amare l’altro più di noi stessi, anche in assenza di una relazione in cui ricevere almeno quanto si dona...Quando l’idea dell’altro rappresenta lo scopo principale. A tal proposito, gli ingredienti della dipendenza sono tre meccanismi psicologici: l’ossessione, l’impulsività e la compulsione. L’ossessione fa riferimento a pensare costantemente sempre all'altra persona, l’impulsività ci spinge ad agire senza pensare, al solo scopo di appagare momentaneamente la fame di vicinanza all’oggetto del desiderio, la compulsione infine fa agire il pensiero, scatenando una scarica adrenalinica che, apparentemente ci fa sentire per un attimo appagati, ma nella realtà dà spazio alle pessime decisioni che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo visto più o meno da vicino… A livello neurobiologico, non a caso, gli elementi in gioco sono gli stessi che si attivano nelle tossicodipendenze. Da qui il nome “dipendenze affettive”, dove l’oggetto d’amore non è la sostanza ma l’altro e la relazione. A livello neurale, il circuito della dipendenza affettiva interessa il neurotrasmettitore della dopamina, sostanza chimica prodotta quando desideriamo o aspettiamo una ricompensa emotiva. A questo si aggiungono l’ossitocina (l’ormone dell’amore) e la noradrenalina, in grado di provocare eccitazione, euforia ed entusiasmo. Questo “cortocircuito” amoroso si scatena quando riusciamo ad ottenere la vicinanza con l’altro, facendoci sentire “tre metri sopra il cielo”. È esattamente questo che ricercano le persone con dipendenza affettiva: rimanere in questo stato perenne di eccitamento. Gli incastri perfetti per questa tipologia di amori sono i “partner problematici”, dove il “io ti salverò” è dietro l’angolo, permettendo di dare vita al copione della relazione tossica. In molti casi, la persona con dipendenza affettiva cerca, inconsapevolmente, una vera e propria forma di dissociazione dalla realtà: si tratta di persone dotate delle migliori intenzioni ma che, a ben vedere, allo scopo di non pensare, non sentire un vuoto interiore, una carenza di amore antica, cercano un “amore” in grado di risolvere le loro vite, che li faccia sentire più sicuri, più forti. L’assenza dell’altro sarà percepita allora come una carenza incolmabile, e da qui la sua ricerca spasmodica, nonostante il continuo scontro con il muro della realtà. Quanto alle relazioni sane, quel che tutela davvero i rapporti è un giusto equilibrio tra quel che si dà e quel che si riceve. Ogni sbilanciamento è rischioso. Bisogna imparare, pazientemente, ad accudire e a lasciarsi accudire. Le relazioni si devono basare sulla pariteticità. Ogni sbilanciamento può causare sentimenti disfunzionali. Pensiamo di poter amare per due, di doverci guadagnare l’affetto dell’altro, donando senza riserve ma il rischio è dietro l’angolo, soprattutto quando poi non riceviamo il premio tanto atteso: essere amati o riconosciuti. In amore è necessario trovare la giusta distanza, senza rinunciare alla propria indipendenza. Praticare com-passione verso se stessi e il proprio partner, accogliendo amorevolmente le rispettive vulnerabilità. Imparare ad aggiungere, non a colmare. _ Per leggere tutti gli articoli clicca qui.
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A cura della Dottoressa
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