Dr.ssa SIMONA CORVINO
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Comprendere gli Attacchi di Panico

4/28/2016

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L’attacco di panico è un episodio critico, acuto o subacuto, in genere della durata di alcuni minuti (o talvolta fino a qualche ora), caratterizzato da intensa apprensione, paura o terrore, spesso associato con una sensazione di catastrofe imminente, a sintomi come dispnea, palpitazioni, dolore o fastidio al petto, sensazione di asfissia o soffocamento, paura di impazzire, morire o di perdere il controllo.
A tal proposito, elemento importante anche al fine del trattamento è valutare l’assenza o meno della componente agorafobica: manifestazione importante degli attacchi di panico, sintetizzabile come la paura di trovarsi in spazi non familiari con tante persone, di trovarsi in situazione in cui è difficile ricevere un aiuto.
Criteri diagnostici per il disturbo sono la presenza di attacchi di panico inaspettati e ricorrenti, presenza o meno di agorafobia, assenza di elementi che possano ricondurre agli effetti fisiologici di una sostanza o una condizione medica generale, mancanza di fattori connessi ad un altro disturbo mentale.
Nei bambini più piccoli è tipico uno stato improvviso e acuto di tensione e paura che diventa rapidamente terrore, pianto, agitazione motoria, fuga. In pubertà divengono frequenti dolori toracici, rossore, tremore, mal di testa, vertigini, laddove i sintomi cognitivi fanno generalmente la loro comparsa più tardivamente. Non è chiaro se il disturbo si possa trovare nei bambini: la letteratura non è concorde su questo argomento e, in ogni modo, l’attacco di panico non rappresenta certo un problema epidemiologicamente molto rilevante in età evolutiva, poiché l’esordio tipico è tra la tarda adolescenza e i venticinque anni. In alcuni casi, i Disturbi d’Ansia hanno una risoluzione spontanea, oppure possono portare all’insorgenza di nuovi disturbi, dove importante fattore predittivo si rivela essere la fragilità del soggetto di fronte agli eventi sfavorevoli. A tal proposito, il trattamento deve basarsi sulla psicoterapia unitamente, in adolescenza, all’intervento educativo nel ragazzo e nella famiglia, mentre la farmacoterapia deve essere demandata solo alle forme più resistenti e invalidanti. 
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    A cura della Dottoressa
    ​Simona Corvino

    Psicologa-Psicoterapeuta

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