Dr.ssa SIMONA CORVINO
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Comunicare e regolare le emozioni

4/28/2016

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Parlare di emozioni e sentimenti in psicopatologia impone sempre una scelta. Ci sono molte teorie sulle emozioni e questo dipende anche dal fatto che si parla di emozioni attraverso il linguaggio che di per sé costituisce il limite descrittivo e per sua natura è oggetto di equivoci, laddove le emozioni non seguono le regole della logica formale, semplicemente emergono “ex motus”. Il loro emergere gioca un ruolo fondamentale nella costruzione della vita relazionale, regolando i rapporti interpersonali e dirigendo pensiero, attenzione e memoria .  È dunque generalmente accettato che le emozioni sono coinvolte nei problemi di salute mentale e nelle psicopatologie. Tuttavia, tale affermazione non è molto significativa perché le emozioni, positive o negative che siano, sono sempre implicate in ogni comportamento volontario dell'individuo e, anche limitandola alle emozioni negative, essa non aiuta a comprendere i problemi di comportamento. La stessa classificazione delle emozioni come positive e negative è più una questione di convenienza che una regola della scienza del comportamento. Le cosiddette emozioni negative sono anche intrinsecamente adattative: condividere la tristezza rafforza i legami familiari e comunitari, l’ira potenzia la difesa della propria integrità e della giustizia sociale, il senso di colpa incrementa lo sviluppo della responsabilità e fa nascere il desiderio di riparare gli errori commessi. A causa di tale natura intrinsecamente adattativa delle emozioni in circostanze normali c’è disaccordo riguardo al ruolo che le emozioni giocano nel comportamento abnorme.
Non esiste dunque una linea di separazione tra il funzionamento emozionale normale e quello patologico (Brenner, 1982). Le emozioni vanno considerate patologiche quando sono: eccessive e persistenti, forti e in conflitto, disconnesse (emozione/cognizione), separate (emozione/cognizione/comportamento).
Ad ogni modo, quando si parla di controllo e modulazione dell’espressività emozionale non necessariamente ci si riferisce a una pura e semplice repressione e inibizione degli aspetti espressivi, piuttosto  ci si riferisce, alla capacità di dare un significato alle emozioni e alla possibilità di arricchire l’esperienza emozionale con un più saldo collegamento tra espressione emotiva e vissuto soggettivo. Alcune ricerche hanno mostrato come l’inibizione della comunicazione emotiva abbia delle profonde ripercussioni sullo stato di salute, soprattutto in presenza di fatti traumatici. L’inibizione espressiva in questi casi coincide con l’impossibilità di comunicare attraverso il linguaggio (o altri strumenti non verbali simbolici) l’esperienza emotiva, elaborandola. La distinzione tra aspetti espressivi e comunicativi nell’esteriorizzazione delle emozioni è di grande importanza in ambito clinico. L’incapacità che molti pazienti mostrano a verbalizzare le proprie emozioni (disturbo a cui è stato dato il nome di alessitimia da Sifneos, 1973), collegabile in buona parte all’origine dei disturbi psicosomatici, va considerata come una vera e propria impossibilità di elaborazione emotiva e di costruzione di un proprio mondo interno, piuttosto che incapacità di tipo espressivo.
Svariate ricerche effettuate nei CSM, ovvero nei Centri di Salute Mentale, hanno evidenziato quanto la domanda di psicoterapia sia orientata da problematiche che riguardano la convivenza tra le persone e le difficoltà a promuovere sviluppo nei contesti d’appartenenza. Semplificando, si potrebbe dire che le persone vanno in terapia non perchè soffrono di un disturbo mentale specifico, ma perchè hanno dei problemi nel rapporto con le loro emozioni in relazione a rapporti interpersonali. Si tratta, appunto, di “disturbi emotivi comuni” che implicano la difficoltà, ad esempio, a saper stare dentro una relazione d’amore o in un rapporto amicale; altre volte può riguardare la difficoltà nei contesti di apprendimento, quale la scuola o l’università o nei contesti lavorativi. Si tratta di domande che rispecchiano il bisogno di dare senso alla propria vita emotiva, di costruire delle priorità attribuendo valore alla propria identità e alle proprie relazioni. In questi casi, lo psicoterapeuta non ha come pazienti dei “depressi o degli ansiosi”, ma si confronta con le emozioni, con i progetti, i desideri e i vincoli dell’altro. Altro che non può essere declinato e forzato dentro le categorie della tradizione psichiatrica, laddove la psicoterapia è un processo volto alla promozione dello sviluppo del “pensiero sulle proprie emozioni”. Molte volte questo “prodotto” non è qualcosa di visibile e tangibile, piuttosto si tratta di aiutare il paziente ad acquisire degli strumenti di riflessione sulle proprie emozioni.

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    A cura della Dottoressa
    ​Simona Corvino

    Psicologa-Psicoterapeuta

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